sabato 28 febbraio 2015

Dolce è questo canto - L'effetto dei bhajan sugli altri


By Br. Shivamrita Chaitanya - Sweet is this song

In migliaia hanno imparato a cantare. Ma solo una manciata di cantanti tocca il cuore delle persone. Perché? In larga misura dipende dalle vasana (tendenze latenti di vite precedenti che si manifestano come attitudini innate). Se chi possiede questo “gene musicale” riceve anche una formazione adeguata, da diamante grezzo può diventare una fulgida gemma. Chi invece non possiede questa vasana, pur impegnandosi duramente, non potrà mai toccare le vette della perfezione.

La stessa cosa succede per la conquista del regno spirituale. Solo chi possiede una forte e innata predisposizione spirituale riesce a raggiungere l’obiettivo senza dover passare tra i meandri. Questo è  molto chiaro in maestri riconosciuti da tutto il mondo, come Buddha. Suo padre, il re Shuddhodanan, una volta gli chiese: "Nessuno dei miei antenati aveva mai preso la ciotola dell’elemosina. Come hai potuto piegare la tua mente e fare una cosa simile? "


Buddha rispose: "Forse nessuno della tua famiglia, o di quella di tua moglie, è mai stato un mendicante. Ma tutti quelli della mia specie, sono stati dei monaci itineranti. Io e te siamo come due viaggiatori il cui percorso si è incrociato e hanno condiviso un breve cammino. Da qui in poi,  le nostre strade si separano. Il nostro percorso ed i nostri obiettivi non sono mai stati gli stessi." Allo stesso modo, a causa della mancanza del necessario samskara spirituale (cultura) che si acquisisce nel corso delle vite passate, che Amma, con la sua lungimiranza, consiglia a molti di coloro che le chiedono di andare a vivere al suo ashram, di seguire invece il percorso del grhastashrama (la vita di famiglia), per progredire e acquisire maturità.

Si dice che diverse creature, come mucche, bambini e serpenti apprezzino la musica. Non c’è nessuno che dopo aver ascoltato i bhajan di Amma almeno una volta, non ne sia rimasto affascinato. Come un ornamento d'oro su una bellezza illibata, la miscela ammaliante della pura dolcezza melodica, accompagnata dalla bellezza letteraria e dai principi spirituali, ha attratto migliaia di occidentali, i quali solo per il  fatto di poter apprezzare al meglio i bhajan di Amma, hanno intrapreso lo studio del Malayalam sorprendendo gli stessi keraliti per la pronuncia impeccabile dell'esecuzione dei bhajan in Malayalam.

Quando arriva la primavera, non sono solo i cuculi che iniziano a cantare; lo fanno anche altri uccelli come i corvi o i pavoni. Allo stesso modo, quando nel cuore sbocciano l'amore e la devozione, i canti devozionali fioriscono anche sulle labbra di chi non ha studiato nemmeno i rudimenti minimi della musica. Gli altri, però, potrebbero non apprezzare questo canto spontaneo, giudicandolo risibile se non addirittura offensivo. Proprio come il devoto rifugge dalle conversazioni mondane, anche le persone mondane possono a loro volta chiudere gli orecchi alle espressioni musicali nate dalle emozioni del cuore. Ovviamente, un vero devoto non se ne cura. Per toccare gli apici del fervore devozionale, è necessario rinunciare alla timidezza, al rispetto di sé, alla vergogna e al dolore.

Dopo aver incontrato Amma ero infervorato dai suoi bhajan. Tuttavia, non mi fu possibile vivere all'ashram e allora mi ci recavo ogniqualvolta ero libero dal lavoro. Il Darshan di Amma, le dolci parole, i riecheggi dei bhajan mi entravano nel cuore facendomi sciogliere in lacrime, mi prendevano e rilasciavano come l’onda della marea.

Avevo assaporato la dolcezza e il mio pensiero era sempre in quel ricordo fino al Darshan successivo. Ripresi a recitare i nomi del Signore, una pratica che avevo abbandonato quando ero più giovane. Stavo seduto nella stanza della puja e cantavo a squarciagola i bhajan dell'ashram, senza riguardo alla tonalità o al ritmo. A quell’epoca ero il maggiore sostegno economico della mia famiglia, che ora era profondamente addolorata alla prospettiva che il primogenito fosse in procinto di andare a vivere all’ashram. Mio padre, che con tutto l’amore che aveva per me, non si era mai lamentato di alcunché, un giorno mi prese da parte per dirmi: "Figlio, puoi andare a vivere all’ashram, se è questo ciò che desideri. Non ci sono obiezioni. Ma per favore, quando si fa sera, non sgolarti in quel modo!" Rapito dall’incanto dell’amore a prima vista, ero troppo perso nel mio mondo per ascoltare le parole di mio padre. Ripresi a cantare i bhajan con così tanto fervore da spodestare certamente dalla scena persino la Dea della Musica!

I miei vocalizzi serali cessarono quando dovetti allontanarmi per un po’ da casa – a Chennai – per motivi di lavoro. Anche in quell’occasione mantenni comunque i contatti con l’ashram. Quel periodo coincise con il primo Tour del Mondo di Amma (1987). Una volta ebbi una domenica libera dal lavoro. Non ci sarebbe stato tempo sufficiente per affrontare un viaggio complicato per tornare a casa oppure per raggiungere l'ashram. Decisi così che avrei trascorso quel giorno ad Arunachala. Alla mezzanotte del sabato scesi dall’autobus ai piedi del monte Arunachala. Dove avrei potuto passare la notte? Forse avrei trovato un ashram in cima alla montagna. Dopo tutto, quello era il luogo delle pratiche spirituali di Ramana Maharshi. Decisi di visitare quei luoghi sacri legati alla sua vita. In giro non c’era anima viva, nessuno con cui parlare o a cui chiedere qualcosa. Decisi di salire sulla montagna.

Mi avviai sul sentiero che stava davanti a me. La luce della luna era fioca. Riuscivo a malapena a distinguere la strada e dopo un po’ il sentiero terminava. C'erano solo rocce enormi e arbusti. Ero determinato a non tornare sui miei passi, per nessuna ragione al mondo. Dopo aver attraversato boschi e boschetti, arrivai finalmente in cima. Lì vidi che c'era una fossa sacrificale di quelle che servono per bruciare la canfora durante i festival di Kartika. Mi sdraiai su una lastra di roccia nelle vicinanze. Per passare la notte non c’era nemmeno una grotta, altro che ashram. Ero esausto e ancora peggio il mio cuore era divorato dal ricordo di Amma. Una volta lei aveva circoambulato questa montagna che Ramana Maharshi aveva percepito come luce divina. In questo momento probabilmente stava con gli altri suoi figli, in qualche parte d’America a cantare i bhajan. Si sarebbe ricordata di questo suo figlio, orfano, che stava in cima a una montagna a piangere?

Quando non potei più di trattenere i singhiozzi, cominciai a cantare un bhajan, immaginando che Amma fosse insieme a me e cantasse con me. Scosso dai profondi singhiozzi cantai: "Anantamami lokattil oru anuvami enne ni ..." ("In questo universo infinito, io non son altro che un piccolo atomo ..."). Dopo aver cantato per un po’, sollevai il capo. Nel cielo c’erano la mezzaluna pallida e riccioli sparsi di nubi. Improvvisamente, scorsi da lontano una roccia che si muoveva…. no, non era una roccia, ma un uomo che cammina verso di me. Doveva essere venuto a meditare, mi dissi, e probabilmente stava venendo a dirmi che il mio canto lo aveva disturbato. Ero depresso. Asciugando le lacrime, mi affrettai a ridiscendere.

C'è un proverbio in malayalam che dice: "La vicinanza al gelsomino rende la pietra profumata”. Che succederebbe se nel sentire ciò la pentola usata per cucinare il payasam nei templi, aspirasse a diventare dolce? Essendo sostanzialmente stonato, dopo gli ultimi 10 o 12 anni di immersione nell’ambrosia del mare di musica che è Amritapuri, riesco ora a distinguere a malapena le stonature del mio canto. Per questo motivo oggigiorno non mi sforzo più di tanto nell’intento di suscitare emozioni negli altri con la mia dolce voce. Nel corso della mia attività nell’Amritakutambam (sostanzialmente uno schema di divulgazione del messaggio di Amma e delle pratiche spirituali di base), ho avuto modo di sentire molte lamentele sul canto dei bhajan: chi non sa cantare non dovrebbe cantare; i bhajan non sono stati cantati perché non c'era nessuno che li cantasse; non viene offerta a tutti la possibilità di cantare come voce guida; il bhajan è stato rovinato perché le persone hanno cantato in toni diversi, ecc. In risposta a tutte queste lamentele non posso far altro che citare ciò che Amma dice in proposito. «Non avete bisogno di imparare la musica per chiamare vostra madre."
Nello stesso tempo ho anche insistito che chi non possiede un talento musicale dovrebbe cantare con una base di registrazione audio. Anche se noi stessi non abbiamo alcun tipo di bhakti (devozione), dovremmo almeno far in modo che gli altri non perdano la loro bhakti dopo aver ascoltato i bhajan a causa del nostro dissenso canoro. 
Per consolare chi non sa cantare bene, condivido una delle mie esperienze.

Avvenne quando Amma era in tour all’estero l'anno scorso anno e io stavo visitando diverse parti del Kerala per celebrare le puja di massa. Una sera a casa di un devoto che ci ospitava, vidi nella stanza della puja le immagini di Shiva con la Devi e una fotografia incorniciata di Amma – e nessun’altra immagine -. C'era anche una collezione completa di cassette con i bhajan dell'ashram. C'erano anche una cassa altoparlante in soggiorno e un’altra in cucina, per poter lavorare e ascoltare i bhajan nello stesso tempo. Incuriosito domandai: "I bhajan di Amma Vi piaciono così tanto? Vedo che avete tutte le cassette".

"Se ci piacciono i bhajan di Amma!!! E’ per merito loro se oggi sono vivo!" rispose il padrone di casa. 
Gustando una tazza di tè addolcito dal sorriso della padrona di casa, mentre giocavo con i loro figli, due piccoli cherubini, ero già trepidante d’anticipazione per un altro lila (gioco divino) di Amma.
  
"Circa una quindicina di anni fa, la mia azienda era fallita ed eravamo sommersi dai debiti. Le proprietà e la casa erano state ipotecate. Non avevamo più gioielli da impegnare. Vivevamo alla giornata vendendo pezzo dopo pezzo la batteria di cucina. A quell’epoca abitavamo a Chennai. Un giorno in cui fummo sopraffatti dal morso della fame, dovetti chiedere a mia moglie di sfilarsi l’anello che portava all’alluce. Solitamente una moglie non toglie l’anello dall’alluce quando il marito è ancora in vita, ma non avevo altra via d’uscita. L’anello non si sfilava e l’abbiamo dovuto tagliare. A questo punto con un’esclamazione di dolore, mia moglie disse: ”Dopo di questo, la prossima volta puoi lasciare anche me al banco dei pegni!'


"Quelle parole mi trafissero dolorosamente il cuore. Se non potevo nemmeno dar da mangiare a mia moglie, a cosa serviva vivere? Decisi di farla finita pur consapevole che il suicido fosse un peccato.  Sin da bambino avevo sempre pregato Shiva, così decisi di porre fine alla mia vita sul Monte Arunachala, perchè presieduto dal Signore Shiva. Con i soldi ricavati dalla vendita dell’anello d’argento avevo comprato il veleno, avevo messo una lettera in tasca e mi ero recato al tempio a pregare. Avevo confessato tutte le mie mancanze al Signore e chiesto perdono. Poiché non avrei partecipato alla prossima celebrazione di Kartica, avevo acquistato un po' di canfora per bruciarla come offerta. Dopo aver ingoiato il veleno mi sarei gettato dal dirupo. ra. Deciso il piano d’azione, nel mezzo della notte mi avviai su per la montagna. 

Arrivato in cima vidi un uomo disteso a faccia in giù. All’inizio pensai che fosse morto, ma avvicinandomi potevo sentire che respirava. Avrei potuto bruciare la canfora e prendere il veleno solo dopo che se ne fosse andato. Decisi di aspettare e andai a sedermi a debita distanza. Iniziai a pensare. Con la mia morte i debiti sarebbero stati estinti? Forse mia moglie sarebbe finita in prigione? Col mio suicidio, mia moglie avrebbe potuto beneficiare della polizza assicurativa? Mentre stavo ponderando questi aspetti udii che l’uomo che era disteso cantava e singhiozzava allo stesso tempo. Sentii le parole di quel canto penetrare nel profondo del mio cuore e cominciai a piangere anch’io. Sentivo il peso che avevo nel cuore sciogliersi nelle lacrime che scendevano. Mi sentii molto vicino a quell'uomo. Pensai che forse era venuto anche lui per suicidarsi. Mi venne voglia di consolarlo; mi alzai. Quell’uomo si alzò improvvisamente e corse via, senza voltarsi indietro.


"Bruciai la canfora. Gettai tra le fiamme la fiala col veleno.  Discesi la montagna con la certezza che Dio si sarebbe preso cura di me e tornai a casa.

"Comunque, posso dire che il Signore Shiva abbia ascoltato le mie preghiere. I miei suoceri ci aiutarono con un po 'di denaro. Anche i colleghi di lavoro furono collaborativi. In circa cinque o sei anni, sono tornato a reggermi sulle mie gambe. Ogni tanto i versi che avevo sentito in quella notte fatale mi tornano alla mente. Un paio di anni dopo, ho risentito quegli stessi versi quando ho incontrato Amma. Ho potuto capire così che il mio primo Guru, il Signore Shiva, era riapparso nella forma della Madre Divina e aveva salvato la mia famiglia e me. Poi con la benedizione di Amma abbiamo avuto questi due bambini."

Con un misto di curiosità e ansia, domandai: "Qual'era il bhajan che ha sentito quel giorno?"

"Per molti anni, ho cantato quel bhajan in modo sbagliato, usando parole sbagliate. Ma quanto conforto mi hanno dato quei versi.  'Anandamami lokattil ...' ('In questo universo pieno d'amore ...') era il modo in cui lo cantavo io. Però, Swami, prima di quel momento, non l’avevo mai sentito un canto così dolce!"